Periodo no, anticipato da un finesettimana che come al solito, parte con grandi prospettive, e finisce a casa. Causa maltempo niente sci.
A questo quindi si aggiungono le prime due giornate della settimana che partono molto male, con un tono bassissimo, stanchezza e parecchia, troppa apatia.
Indubbiamente mi sento altamente parossistico. Sarà la stagione, questi primi accenni di primavera che annualmente mi danno una sensazione tutt'opposta del risveglio. E' proprio vero che son troppo contorto e rovescio. Io amo l'autunno, vivo bene d'inverno (quando è serio, con freddo, pioggia e neve) e soffro la primavera e in particolar modo l'estate e il caldo.
I problemi in ufficio son sempre i soliti, e forse sono gli stessi a crearmi maggiormente agitazione, viste le difficoltà che mi arrecano nel gestirmi la vita privata. A volte sembra assurdo... un gioco di scatole cinesi che sembra non avere mai fine. Cerco di organizzare un qualcosa, ma devo talmente incastrarlo negli eventi che ti rendi conto subito che non è possibile vivere così, più uno si sforza a cercare tranquilità e serenità, più la gente, spinta forse da sadismo, cerca di andarti contro per complicarti la vita.
Ok, ognuno tira acqua al suo mulino è normale, ma perchè il mio alla fine rimane sempre a secco? Ora non voglio fare vittimismo, anche io quando serve, nel rispetto massimo delle persone, cerco di sfruttare le situazioni e di ottenerme qualche vantaggio. Ma devo farlo offrendo un qualcosa in più del previsto in cambio. Vada per il do ut des, ma a volte mi sembra di dare più di quanto ricevo. Carità cristiana sì, ma figura del tonto no... ora mi son stufato.
Questi mesi sono stati un po' una parabola. O meglio una funzione che dopo aver raggiunto un massimo, in cui ho raggiunto uno stato di benessere assoluto coadiuvato da soddisfazioni e successi personali, sta pian piano scendendo nuovamente verso un livello basso. Non c'è stato il crollo come prima di natale, quando son finito al Pronto Soccorso, adesso è molto più graduale ma pur sempre mi infastidisce. A catena di conseguenza parte lo stimolo del volerne uscire fuori. Dal non rimanere incastrato in chissà quali perversi giochi della mia mente. Che creano disagio, fastidio, voglia di fuggire. La testa altrove e desiderio di riscrivere quella stramaledetta "lettera.
Testa o cuore? Anche io adesso quest'amletica domanda, ma vince comunque sempre testa, necessità fa virtù e quindi continuo a stringere i denti.
Diceva Tomasi di Lampedusa ne "Il Gattopardo": "Bisogna che tutto cambi se si vuole che tutto resti com'è". Amara profezia, ma solida realtà.
Tante cose son cambiate, nuovi mondi, nuove conoscenze, nuove esperienze e soprattutto una maggiore coscenza di fatti e situazioni, ma la base di fatto purtroppo è rimasta sempre la stessa. A volte insostenibile, soprattutto quando lavori e fai vedere che puoi affrontare con esperienza e piena cognizione di causa la situazione. E alla fine di tutto ti chiedi "ma chi me lo ha fatto fare?"
Lunedì non in gran forma, martedì con preallarme dei miei soliti attacchi di "fobia" (nuova definizione, ma forse, inquadra meglio il tutto. Fobia di quest'ufficio). I prossimi giorni non lo so, ma le premesse non sono delle migliori.
Cerco quindi sempre di impegnarmi in cose che mi piacciono. Accentratore, ma sempre in cerca di consigli per fare e dare il meglio. Adesso inizio a stentare nuovamente anche qui.
E che diamine!!!
Non riesco più a dare dimensionalità ai miei sentimenti, alle mie sensazioni. Solo a trascriverle. Distanza e Confine che si ripresentano tumultuosi come delle barriere che affossano in parte il mio Istinto.
O forse sono io a controllarlo troppo con la testa. Che non è libera, ma omologata ad un carattere ed un modo di vivere incentrato troppo sugli altri e poco su di me.
Forse è il mio EGO che cerca di farsi sentire, tumultuosamente, che cerca di venire fuori, prendere il controllo, ma non ha ancora la forza e il temperamento. Un Ego imprigionato fino ad ora, che chiede di essere libero, se stesso.
Ma allora, io, sono come sono? Sono io stesso una maschera dietro alla quale mi nascondo a me e al mondo.
Questi pensieri mi turbano e si aggiungono al vortice di riflessioni che sto mi portando dietro da settimane. Prima o poi metterò questi due punti su una retta non vi preoccupate e cercheremo di capire nuovamente le relazioni e i rapporti. Insieme ad Istinto, Dominanza e Spazialità...
Certo che non è impresa facile riuscire a scrivere nel delirio di quest'ufficio, in particolare quando l'argomento che devo provare ad affrontare è tosto, come potrete leggere nelle prossime righe.
Distanza e Confine.
Io sono sempre stata una persona concreta, molto pratica e poco teorica. Per me distanza e confine sono due entità che possono, anzi, vengono ben definite fisicamente. Una distanza è un centimetro, un metro, fino a svariati kilometri. L'infinito stesso è per me una distanza.
Un confine è una barriera, un limite. Un cancello od una porta possono essere un confine, così come lo sono un muro o una palizzata.
Devo far lavorare il mio neurone oltre le sue capacità, o meglio oltre quello che ha sempre fatto e oltre quello su cui ha sempre ragionato, per studio e per quotidianità. "Smaterializzare" i due concetti, renderli empirici e teorici, in modo tale da ridefinire queste due nuove definizioni, per comprendere quelle che sono le mie relazioni interpersonali. La distanza e i confini con il mondo che mi circonda, in ogni sua singola eccezione.
Ma la Distanza è anche Confine?
Già il fatto che sia riuscito a scrivere un ragionamento del genere, mi stupisce, forse sto già entrando nel sistema, in quella forma di Matrix che all'interno della mia mente gestisce il tutto. I miei sentimenti, le mie follie e le mie paranoie. E perchè no, tiene anche in ordine il mio disordine.
In astratto, nella nostra quotidianità, come viviamo, come sentiamo tali distanze, quali sono questi confini? Soprattutto, come li "materializziamo" nei rapporti interpersonali. Le distanze relazionali ci consentono di sentirci o meno a nostro agio con una persona, quella forma di "sensazione a pelle" che ci fa essere aperti o meno con chi abbiamo di fronte. Distanza che ci consente, modulandola a seconda delle occorrenze, di valutare con maggiore o minore freddezza e calcolo situazioni e persone.
Cosa è quindi veramente la Distanza? E' il tipo di rapporto che si instaura con una persona? Il livello di confidenza? O più semplicemente la disponibilità a venire incontro alle sue esigenze, a comprenderne le difficoltà e a discuterne, confrontandosi per cercarne e proporne assieme una soluzione. Forse questo è il Confine. Il punto oltre cui non si va, dove la distanza o sia annulla o mantiene un valore costante. Distanza e Confine che possiamo rappresentarle in maniera figurativa come due rette, possono arrivare a toccarsi in un punto, raggiungendo quindi un confine annullando progressivamente la distanza, o parallele che all'infinito si inseguono senza mai incontrarsi, quindi con una distanza costante che rappresenta al tempo stesso il confine.
Tempo fa, in un riflessione, creai la geometria analitica dei sentimenti. Dissi che l'amore è come un punto attraverso il quale passano infinite rette. Ma solo una di queste risponde ai valori x, y e z che richiediamo, che desideriamo nell'altra persona. Rimanendo quindi in astratto e in tema, solo e soltanto questa retta soddisfa il giusto valore del confine e della distanza, mentre le altre infinite rette assumono ognuna un binomio Distanza/Confine differente l'uno dall'altro, ma mai un valore nullo. Perchè probabilmente, se tale valore è pari a zero, corrisponderebbe a noi stessi. Per tale motivo, ritornando nella realtà, essendo tale valore uguale a zero, e quindi corrispondente a noi stessi, pur parlando sempre dell'effimero, se la distanza fosse nulla, non esisterebbero confini. Però, potrebbero esistere confini anche senza nessuna distanza.
Un assurdo, ma è la realtà quando non si è capaci di comprendere se stessi. O peggio, quando non si è capaci di fare una scelta, perchè non si riesce ad analizzare con il giusto distacco/distanza una situazione, venendo così a creare, con un circolo vizioso, un confine. Confine che può essere rappresentato dal chiudersi al riccio, dal fuggire ogni forma di confronto o peggio ancora, dal sentirsi troppo diversi dal mondo e quindi rifiutati dallo stesso.
L'orlo del baratro.
Alla fine di tutto questo ragionamento la domanda rimane sempre la stessa. Cosa è la Distanza? Cosa è il Confine?
E' il nostro carattere? Sono i nostri limiti? Sono i nostri spazi intimi e riservati? E' il subconscio nel quale nascondiamo le nostre paure e le nostre angosce e dove abbiamo timore di andare a cercare per capire? Sono i nostri desideri o anche il nostro modo di apparire, od essere?
Soprattutto, siamo capaci di identificare e definire tali concetti in maniera meno astratta, ma confrontandoli nella vita quotidiana?
Ragioniamoci assieme.
Devo essere sincero, la sera di venerdì mi ha colto particolarmente stanco. Dopo tre giorni di lavoro abbastanza pieni e con la previsione di un post weekend da delirio, serpeggiava dentro di me il pensiero malsano di un fine settimana da trascorrere sicuramente sballato nelle sue previsioni. E per giunta, di testa mia, per vedere che succedeva, nonostante il medico mi avesse prescritto di non interrompere la cura, avevo sospeso la pasticchetta serale.
E infatti già sabato mattina le cose mettono male, i due/tre impegni da fare saltano inesorabilmente unoa ad uno, senza appello e senza possibilità di rimediare. Amen, non ne faccio un dramma anche se le sto rimandando da fin troppo tempo. Mi riprogrammo il pomeriggio, mentre nel frattempo si inserisce come un fulmine a ciel sereno un modem/router capitato nelle mani sbagliate. Ok, almeno per la serata ho una certezza. Decido quindi di soddisfare il desiderio materno di fare un giro in centro e di cercare un negozio che ha in vendita quelle benedette polveri per la terza cottura. Quest'hobby per la ceramica la impegna, ma a volte la fa diventare paranoica.
Ne approfittiamo e ci incontriamo che con gli zii, ci si fa due chiacchiere, qualche pettegolezzo, una bella passeggiatona e il tempo vola in fretta.
Piccola nota di margine, a Roma la Nespresso ha fatto un successone, c'era la fila al negozio di San Lorenzo in Lucina. Rassegnati e senza cialde si torna a casa, mi aspettano per trasferirci in zona operazione. Ho un bel modem/router che mi aspetta, tutto caldo e tutto wireless. Quattro chiacchiere, una cena veloce e inizia l'impari lotta tra l'uomo e il computer, tra l'intelligenza umana e la deficenza digitale.
Il risultato finale neanche ve lo dico, è quasi scontato, anzi... sotto un certo aspetto ho messo in rete una tripletta, accesso, routing interno lan e w-lan e per finire condivisione file e stampanti.
Stanco e ad ora tarda rientro a casa. Incerto e convinto che la mattina dopo avrei affrontato un'altra sfida. La VERA sfida della settimana. Torno in pista, ma questa volta per essere protagonista. Si va a Roccarso, non mi interessano le ore di viaggio, la strada di montagna, la difficoltà di parcheggio. Voglio riaffrontare la pista, ma stavolta in modo serio.
Il programma della giornata prevederebbe la partenza alle ore 7. Col piffero!!! Alle 7 sono ancora sonnecchiante nel letto e getto uno sguardo fuori dalla finestra. A Roma il cielo è uggioso e il mio termobarometro interno, mi da il tempo molto instabile. Mia madre tenta in ogni modo di farmi desistere, ma sento crescere la convinzione in me che sarà una grande giornata. Mi alzo, mi preparo in tenuta da sci (l'omino della Michelin...), rimetto nella sacca gli sci dopo avergli dato una rapida sciolinata a freddo e via. Alle 8,10, con il navigatore puntato verso l'Aremogna, inizia il viaggio. Autostrada tranquilla, anzi, durante il viaggio aumenta la voglia di sci e un leggero sole che fa capolino tra le nuvole mi incoraggia ulteriormente.
FInalmente a destinazione. Non è la neve degli anni scorsi, ma la situazione non è malaccio. Ok, preparazione, scarponi, guanti, casco. Pronti, si fa il giornaliero, sci ai piedi e si comincia.
Le gambe ci sono. Devono un po' scaldarsi, riabituarsi alla neve, ma ci stanno, reagiscono. La paura iniziale che mi aveva accompagnato la volta scorsa si dissolve.
Inizio a ristudiarmi le piste, a scegliere i percorsi. Voglio rifarmi subito la 7, una bella pista lunga, nel bosco, con curve e cambi di pendenza. Sarà il mio banco di prova. E per arrivarci un po' di skilift ci sta bene. Nel silenzio, trainato da una fune, sentire lo sci che scivola sulla neve, immersi nel silenzio e nella tranquillità, mi da euforia. Sto bene. Benissimo. Un crescendo di emozioni e di concentrazione. Neanche stessi facendo una finale di slalom gigante.
Arrivo in cima, lascio il piattello e mi guardo gli sci... le punte puntano (wow... ) dritte verso la discesa. Vado. Ed è un susseguirsi di evoluzioni, provo lo scodizolo, gamba e lamina stanno sulla neve, è quasi perfetto. Forzo con un po' di carving largo andando pian piano a stringere. Scivolo perfettamente, incollato alla pista e tenendo in maniera impeccabile la curva, dossetti e un po' di ghiaccio vengono perfettamente ammortizzate dalle ginocchia. Cambio stile, scendo classico, serpeggio largo, nessun problema. Traversone prima di un piccolo muro, ne esco in perfetta traettoria per mettermi ad uovo. Non un errore, non un'incertezza.
Sono tornato veramente in pista e mi rendo conto che per tutta la giornata, non ce ne sarà per nessuno.
Sono pronto per tutte le piste.
Risalgo, decido di farmi il prato e la esse. Piste mai provate ma che mi hanno sempre incuriosito. Vado giù perfetto, scuole sci permettendo. Risalgo su e decido di tornare verso la Valleverde. Non sapevo che fosse aperta solo la azzurra laterale, mentre il canalone era chiuso. Ma già farsi dal Pratello a piedi con gli sci in spalla non è stato entusiasmante. Opto per il fuori pista, in fin dei conti, a parte il muro iniziale, il resto, è quasi in piano. Ma mica è vero. Non essendo battuta, alla fine è stato un fuori pista inaspettato, nel quale ho dato giù anche con qualche principio di freestyle, e tutta neve fresca.
Da qui in poi, un susseguirsi di salite e ridiscese, con la grinta e quella gioia che lo sci mi da. Stavo bene, rinato, nel mio ambiente naturale, sereno e grintoso.
Pista, te me provochi e io me te scio...
Verso le 14 iniziano a montare nuvole e a scendere una leggera neve. A dire il vero, anche nella mattinata ogni tanto scendeva qualche rado fiocco che faceva tanto atmosfera. Inizio a ragionare sul da farsi, preferisco tenermi a portata della pista di rientro. Non mi preoccupano tanto nebbia e neve, quanto la scarsa visibilità che potrebbero provocare. Inizia a fare dei bei fiocchi grandi e con una rapida valutazione preferisco verso le 15 di dare termine alla giornata.
Però devo farlo alla grande.
Seggiovia, breve collegamento non battuto, e per il rientro mi dedico alla pista che usano per gli allenamenti. Inimmaginabile la neve che scendeva, ed io per giunta contro vento. Arrivo al parcheggio quasi una maschera. Tra il casco e gli occhialoni da sci uno strato di neve a congelarmi la fronte, mentre i baffetti tutti innevati e bianchi mi rassomigliavano a Messner sul K2, e la tuta con mucchietti di neve tra le pieghe e su tutta la pettorina.
Ed io euforico.
Peccato dover andare via. Mi risistemo, ripongo tutto in macchina, la lascio scaldare un po' e sotto una fitta nevicata, che mano a mano che scendevo a valle si trasformava in pioggia, riprendo la strada per Roma. Telepass, autostrada e via, sotto un bell'acquazzone.
Con il ricordo probabilmente della più bella sciata di questa stagione. Forse anche l'ultima... anche se spero di no.
Nel frattempo è ricominciata la settimana, con queste prime due giornate veramente stancanti. Da domani, forse, si lavora più rilassati.
Forse ho tralasciato per un po' troppi giorni l'abitudine che avrei dovuto portare avanti... ed eccomi qua che mi ritrovo a dover fare un pastone che riassume sensazioni, pensieri e riflessioni di quasi tre settimane. Che soprattutto per uno come me, che sugge da ogni attimo di vita il massimo possibile, diventa quasi un'eternità.
A parte i due intermezzi per commentare il paradosso della follia umana e politica, non mi sono più concentrato su di me. O meglio, sulla mia psiche.
Ma ho dato tutto quello che riuscivo a dare, soprattutto in alcune cose che ultimamente mi stanno dando una nuova spinta e, come commentato su altri blog, una nuova luce. Nella perenne sfida tra testa e cuore.
Va bene, il preambolo è stato bello sostanzioso, lo so, ma credo che ora inizi l'interessante, soprattutto per chi vuole addentrarsi tra le mie follie, le mie pazzie, le mie paranoie e le mie passioni. Il tutto condito con un po' di quel sale e pepe della vita che non è altro che il desiderio di scoprire nuovi orizzonti.
Ripartiamo da dove eravamo rimasti. Non ero in formissima, anzi, mi sentivo come rinchiuso in una scatola di plexyglass, o peggio, nuovamente sul filo del rasoio. L'unica soluzione forse era, dietro consiglio, prendersi una positiva settimana di riposo. Si, riposo, lontano da ogni qualsiasi cosa arrecasse disagio, fastidio, stanchezza e uno strano e a volte irrefrenabile desiderio di menare qualcuno. Paradossale per me che non ho mai alzato le mani su nessuno.
Riposarmi quindi dedicandomi a me, ai miei progetti, ad un qualcosa di concreto da portare avanti, con quell'ottimismo e quella forza di volontà e d'animo che fa parte del mio carattere.
I primi giorni non sono stati facilissimi. Un fine settimana tra alti e bassi, improntato molto sul relax, sgombera la mente, voce al cuore. In compagnia di una briciola capace di sorprendermi ogni giorno di più. Vita della mia stessa vita. E nonostante tutto, un pesante contrasto tra felicità, gioia e apatia. Difficile da descrivere, ancor più difficile da vivere. Iniziamo la settimana di "riposo" cercando di programmare le giornate seguenti. Il mio barometro interno trova in martedì 30 gennaio la giornata ideale per riprovare veramente a dare sfogo ad ogni forma di tensione. E' il giorno giusto per sciare, per sentire la lamina incidere la neve. E mettere a terra pensieri, tensioni e sovraccarichi.
Giornata splendida, neve ottima. Davanti a me il Gran Sasso. Scelta non casuale, il posto più dolomitico dell'appennino. E poca gente. Le premesse erano ottime, l'umore... beh, dipendeva da me. Io ce la volevo mettere tutta.
Si inizia. Prima pista, si scia con calma, si entra in contatto con l'ambiente, ci si acclimata (sono pur sempre 2100m slm), ma sento che qualcosa dentro me non va. Forzo la mano, vado avanti. Carambolo. Capita, dopo un inizio stagione sui sassi, forse non sono più abituato a trovarmi neve vera sotto gli sci. Riprendo il giusto umore, la neve è ottima, neanche tanto rovinata, si scia bene. Mi riscaldo su un po' di piste facili, vedo che le piste più agonistiche purtroppo non sono battute e quindi le metto fuori considerazione. Però c'è sempre la scindarella aperta, che mi ha sempre emozionato, la mia alleata a scaricare ogni grammo di tensione. Non questa volta. Parto tranquillo, non voglio forzare, non mi va di fare il discesone. Ma le gambe non ci stanno, non mi vanno di lamina, cerco di fare un serpeggio largo per fermarmi, ma laggiù non mi ascoltano, lo sci va di piatto. Scivola via il primo. Vado a terra rotolando verso valle gambe all'aria. Mi prende un po' la paura. Cerco di capire, recupero gli sci staccatisi durante la caduta, mi rimetto in pista. Ancora più cauto torno giù e riprendo a fare le piste più semplici. Devo capire, è lo sci? Gli scarponi? Un blocco di neve sotto gli attacchi? No, tutto regolare. Mi lancio allora dritto per il canalone, alla fine so che non è troppo rischioso. Cerco di condurre lo sci. Vado dritto. Non forzo, cerco di sfruttare la gravità per non ricadere. Inizio a capire che c'è qualcosa che non va, e non è l'attrezzatura.
Mi concentro, le gambe ci sono, scio in modo divino, faccio le righe alla pista, sento che la tensione si scioglie, si scarica attraverso le lamine. Faccio carving stretto, la lamina va giù profonda, la fine dela pista è vicina. Uovo, mi accuccio. Così voglio sciare. Così.
C'è, la grinta c'è, forse ci siamo, c'è lo sblocco, ma prima di riprovare voglio scaldarmi ancora un po', divertirmi sul muro. Scendo regolare. Voglio forzare di nuovo la mano. Seggiovia, mi sento quasi un novizio che affronta per la prima volta una bella pista. Mentre la fune mi porta su, mi studio la pista, cerco di capire dove e perchè prima ho sbagliato. Voglio rifare quella pista come l'ho sempre fatta. Senza paura. Arrivo su. Una sistemata al casco, agli occhiali, scarponi e sci a posto. Via. Ce la faccio, ce la sto facendo, sto scaricando. Forzo un po' la discesa, ma... lo sci fa come prima. Anche l'altro non mi da retta. Le gambe sono ognuna per i fatti loro. Le forzo, ci provo, ma loro non mi ascoltano. Cerco di traversare per andare in contropendenza, almeno mi fermo. Carambolo veramente male fuori pista. Adesso ho veramente paura. Non la paura del principiante o della pista difficile. La paura di farmi male, perchè è il mio corpo che non riesce a tutelarsi.
Basta. Mi rimetto sugli sci, e tiro avanti fino alle 15, più per il desiderio di riuscire almeno a completare la giornata più che per il piacere di sciare. La mia passione.
Vado via, mi rimetto in strada, ma non sono soddisfatto. Stanco, un po' afflitto, impaurito e completamente giù d'umore. Non voglio sciare così. Non è questa la mia passione.
I giorni successivi sono altalenanti. Alti e bassi, ma stavolta sono più gli alti che i bassi. Il sonno è un po' agitato, ma il piccolo chimico inizia a darmi una mano. E l'aiuto va oltre la notte. Il giorno, nonostante un costante iniziale stordimento, alzarsi è quasi una tragedia, diventa una bella sfida. Ho voglia di fare, grinta. Si, riecco emergere il Giovanni multitasking. Mi rimettoa seguire conferenze stampa, mi rivedo con un po' di colleghi. Mi sento bene, sento tornare l'energia. Quindi ci sta bene un finesettimana sulla neve? Ci riproviamo? Mi vendico del martedì maledetto? No... sgrunf... piove. Gli sci rimangono in attesa, e il lunedì si torna a lavoro. Il mio lavoro, quello ufficiale, e i miei progetti. Che crescono, assumono una forma definitiva, mi impegnano ben oltre gli orari a due cifre. E' vero, accumulo stanchezza, dormo poco, ma non sento un grande peso addosso, ho voglia di fare, al lavoro sono sereno, riesco a concentrarmi e a stare dietro ad ogni impegno. Unica pecca, un latente malditesta che ogni tanto si fa vivo. Ma è il tempo, lo so, è così da sempre e così sarà sempre. Nel frattempo accade quel che accade, Catania, i Di.Co., l'eversione interna che torna a preoccupare, un mondo che non si sa che voglia fare del suo futuro. Ma io sono parte di questo mondo? Oppure è questo mondo che non fa parte di me? Guardo avanti, c'è un futuro da costruire e in cui credere. Nel quale e per il quale sto lavorando. E adesso ce la sto mettendo tutta.
Soltanto in questi due ultimi giorni, forse per il sonno un po' arretrato da troppi giorni e, paradossalmente, per aver allentato un po' la pressione su alcuni progetti, oramai giunti a termine, sono riprese alcune leggere sensazioni di ansia, in particolar modo di mattina, durante il viaggio verso Palazzo o nel tardo pomeriggio, istigato forse anche da un remoto desiderio di fuggire a casa. Mentre stranamente sono rimasto sereno e per nulla agitato durante le pressanti domande da parte degli ispettori Inpgi. Anche perchè io il mio l'ho sempre fatto e quel che dovevo l'ho pagato, non avevo nulla da nascondere o da giustificare.
Giornata quella odierna di delirio. Voglio scappare a casa, ma a domani... sarà una giornata epica. Spero che possa esistere ancora un weekend.
E' nuovamente tornato a ronzare tra i miei neuroni il desiderio di cambiare lavoro. Scelta fatta con la testa che non ha pienamente soddisfatto il cuore. Solo lui riesce a farmi vedere un po' di luce.
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