15feb
Forse ho tralasciato per un po' troppi giorni l'abitudine che avrei dovuto portare avanti... ed eccomi qua che mi ritrovo a dover fare un pastone che riassume sensazioni, pensieri e riflessioni di quasi tre settimane. Che soprattutto per uno come me, che sugge da ogni attimo di vita il massimo possibile, diventa quasi un'eternità.
A parte i due intermezzi per commentare il paradosso della follia umana e politica, non mi sono più concentrato su di me. O meglio, sulla mia psiche.
Ma ho dato tutto quello che riuscivo a dare, soprattutto in alcune cose che ultimamente mi stanno dando una nuova spinta e, come commentato su altri blog, una nuova luce. Nella perenne sfida tra testa e cuore.
Va bene, il preambolo è stato bello sostanzioso, lo so, ma credo che ora inizi l'interessante, soprattutto per chi vuole addentrarsi tra le mie follie, le mie pazzie, le mie paranoie e le mie passioni. Il tutto condito con un po' di quel sale e pepe della vita che non è altro che il desiderio di scoprire nuovi orizzonti.
Ripartiamo da dove eravamo rimasti. Non ero in formissima, anzi, mi sentivo come rinchiuso in una scatola di plexyglass, o peggio, nuovamente sul filo del rasoio. L'unica soluzione forse era, dietro consiglio, prendersi una positiva settimana di riposo. Si, riposo, lontano da ogni qualsiasi cosa arrecasse disagio, fastidio, stanchezza e uno strano e a volte irrefrenabile desiderio di menare qualcuno. Paradossale per me che non ho mai alzato le mani su nessuno.
Riposarmi quindi dedicandomi a me, ai miei progetti, ad un qualcosa di concreto da portare avanti, con quell'ottimismo e quella forza di volontà e d'animo che fa parte del mio carattere.
I primi giorni non sono stati facilissimi. Un fine settimana tra alti e bassi, improntato molto sul relax, sgombera la mente, voce al cuore. In compagnia di una briciola capace di sorprendermi ogni giorno di più. Vita della mia stessa vita. E nonostante tutto, un pesante contrasto tra felicità, gioia e apatia. Difficile da descrivere, ancor più difficile da vivere. Iniziamo la settimana di "riposo" cercando di programmare le giornate seguenti. Il mio barometro interno trova in martedì 30 gennaio la giornata ideale per riprovare veramente a dare sfogo ad ogni forma di tensione. E' il giorno giusto per sciare, per sentire la lamina incidere la neve. E mettere a terra pensieri, tensioni e sovraccarichi.
Giornata splendida, neve ottima. Davanti a me il Gran Sasso. Scelta non casuale, il posto più dolomitico dell'appennino. E poca gente. Le premesse erano ottime, l'umore... beh, dipendeva da me. Io ce la volevo mettere tutta.
Si inizia. Prima pista, si scia con calma, si entra in contatto con l'ambiente, ci si acclimata (sono pur sempre 2100m slm), ma sento che qualcosa dentro me non va. Forzo la mano, vado avanti. Carambolo. Capita, dopo un inizio stagione sui sassi, forse non sono più abituato a trovarmi neve vera sotto gli sci. Riprendo il giusto umore, la neve è ottima, neanche tanto rovinata, si scia bene. Mi riscaldo su un po' di piste facili, vedo che le piste più agonistiche purtroppo non sono battute e quindi le metto fuori considerazione. Però c'è sempre la scindarella aperta, che mi ha sempre emozionato, la mia alleata a scaricare ogni grammo di tensione. Non questa volta. Parto tranquillo, non voglio forzare, non mi va di fare il discesone. Ma le gambe non ci stanno, non mi vanno di lamina, cerco di fare un serpeggio largo per fermarmi, ma laggiù non mi ascoltano, lo sci va di piatto. Scivola via il primo. Vado a terra rotolando verso valle gambe all'aria. Mi prende un po' la paura. Cerco di capire, recupero gli sci staccatisi durante la caduta, mi rimetto in pista. Ancora più cauto torno giù e riprendo a fare le piste più semplici. Devo capire, è lo sci? Gli scarponi? Un blocco di neve sotto gli attacchi? No, tutto regolare. Mi lancio allora dritto per il canalone, alla fine so che non è troppo rischioso. Cerco di condurre lo sci. Vado dritto. Non forzo, cerco di sfruttare la gravità per non ricadere. Inizio a capire che c'è qualcosa che non va, e non è l'attrezzatura.
Mi concentro, le gambe ci sono, scio in modo divino, faccio le righe alla pista, sento che la tensione si scioglie, si scarica attraverso le lamine. Faccio carving stretto, la lamina va giù profonda, la fine dela pista è vicina. Uovo, mi accuccio. Così voglio sciare. Così.
C'è, la grinta c'è, forse ci siamo, c'è lo sblocco, ma prima di riprovare voglio scaldarmi ancora un po', divertirmi sul muro. Scendo regolare. Voglio forzare di nuovo la mano. Seggiovia, mi sento quasi un novizio che affronta per la prima volta una bella pista. Mentre la fune mi porta su, mi studio la pista, cerco di capire dove e perchè prima ho sbagliato. Voglio rifare quella pista come l'ho sempre fatta. Senza paura. Arrivo su. Una sistemata al casco, agli occhiali, scarponi e sci a posto. Via. Ce la faccio, ce la sto facendo, sto scaricando. Forzo un po' la discesa, ma... lo sci fa come prima. Anche l'altro non mi da retta. Le gambe sono ognuna per i fatti loro. Le forzo, ci provo, ma loro non mi ascoltano. Cerco di traversare per andare in contropendenza, almeno mi fermo. Carambolo veramente male fuori pista. Adesso ho veramente paura. Non la paura del principiante o della pista difficile. La paura di farmi male, perchè è il mio corpo che non riesce a tutelarsi.
Basta. Mi rimetto sugli sci, e tiro avanti fino alle 15, più per il desiderio di riuscire almeno a completare la giornata più che per il piacere di sciare. La mia passione.
Vado via, mi rimetto in strada, ma non sono soddisfatto. Stanco, un po' afflitto, impaurito e completamente giù d'umore. Non voglio sciare così. Non è questa la mia passione.
I giorni successivi sono altalenanti. Alti e bassi, ma stavolta sono più gli alti che i bassi. Il sonno è un po' agitato, ma il piccolo chimico inizia a darmi una mano. E l'aiuto va oltre la notte. Il giorno, nonostante un costante iniziale stordimento, alzarsi è quasi una tragedia, diventa una bella sfida. Ho voglia di fare, grinta. Si, riecco emergere il Giovanni multitasking. Mi rimettoa seguire conferenze stampa, mi rivedo con un po' di colleghi. Mi sento bene, sento tornare l'energia. Quindi ci sta bene un finesettimana sulla neve? Ci riproviamo? Mi vendico del martedì maledetto? No... sgrunf... piove. Gli sci rimangono in attesa, e il lunedì si torna a lavoro. Il mio lavoro, quello ufficiale, e i miei progetti. Che crescono, assumono una forma definitiva, mi impegnano ben oltre gli orari a due cifre. E' vero, accumulo stanchezza, dormo poco, ma non sento un grande peso addosso, ho voglia di fare, al lavoro sono sereno, riesco a concentrarmi e a stare dietro ad ogni impegno. Unica pecca, un latente malditesta che ogni tanto si fa vivo. Ma è il tempo, lo so, è così da sempre e così sarà sempre. Nel frattempo accade quel che accade, Catania, i Di.Co., l'eversione interna che torna a preoccupare, un mondo che non si sa che voglia fare del suo futuro. Ma io sono parte di questo mondo? Oppure è questo mondo che non fa parte di me? Guardo avanti, c'è un futuro da costruire e in cui credere. Nel quale e per il quale sto lavorando. E adesso ce la sto mettendo tutta.
Soltanto in questi due ultimi giorni, forse per il sonno un po' arretrato da troppi giorni e, paradossalmente, per aver allentato un po' la pressione su alcuni progetti, oramai giunti a termine, sono riprese alcune leggere sensazioni di ansia, in particolar modo di mattina, durante il viaggio verso Palazzo o nel tardo pomeriggio, istigato forse anche da un remoto desiderio di fuggire a casa. Mentre stranamente sono rimasto sereno e per nulla agitato durante le pressanti domande da parte degli ispettori Inpgi. Anche perchè io il mio l'ho sempre fatto e quel che dovevo l'ho pagato, non avevo nulla da nascondere o da giustificare.
Giornata quella odierna di delirio. Voglio scappare a casa, ma a domani... sarà una giornata epica. Spero che possa esistere ancora un weekend.
E' nuovamente tornato a ronzare tra i miei neuroni il desiderio di cambiare lavoro. Scelta fatta con la testa che non ha pienamente soddisfatto il cuore. Solo lui riesce a farmi vedere un po' di luce.
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