Cerchiamo di fare ordine nel mio scaffale mentale... cosa ardua considerando che dopo tre anni ancora non ho sistemato la libreria in camera mia.
Mettiamo da parte gli appuntamenti e gli impegni lavorativi e non, che vanno sistemati in agenda, prendiamo e teniamo da parte le cose care, che andranno sistemate con maggiore attenzione, e concentriamoci sui problemi, sulle situazioni e sui concetti che mi creano confusione e soprattutto convivono in e per essa.
Relazioni interpersonali, escludendo quindi come detto prima quelle familiari, tutto ok con il mondo tranne quando viene a mancare il rispetto, sia come persona che come collega. A quel punto possono scattare varie reazioni. La prima, guidata dall'istinto più selvaggio, con un botta e risposta rapido, a volte acido e pungente, che vuole andare a segno a rischio di innescare la polemica (a questo si aggiunge una faccia arcigna da impunito quasi rissoso), senza però arrivare alle mani, è una cosa che detesto. La seconda, con un po' di sagacia diplomatica, cerca di far cadere la polemica attraverso un gioco di battute, volendo smorzare la tensione ma non ammettendo o accettando comunque la mancanza di rispetto. In questo caso il problema si viene a creare quando dall'altra parte si persevera, situazione che a lungo andare poi mi stanca e mi fa arrivare alla prima reazione. Con una regressione naturale del rapporto interpersonale stesso. Un po' quello che ho vissuto in questi mesi. e che mi ha portato ad adottare la terza reazione, quella che troppo spesso sto adottando quasi per quieto vivere. Ok, va bene, abbozzo e sopporto. Ma fa male, veramente tanto male dentro. E in quest'ultimo caso, se si persevera allora è perfidia da parte dell'interlocutore. Che sul posto di lavoro si chiama "Mobbing".
Ed è in questa ultima reazione che non mi riconosco. Quest'inedia per paura di chissà quali reazioni. Lo so già che il mio futuro è incerto, ma almeno, cerchiamo di viverlo da leoni. Ca$$o!!! E' da qua mi incarto e mi ingroviglio in un vorrei ma non posso, do fiducia e viene tradita, cerco supporto e devo solo accettare quel che mi viene imposto. Solo a pensarlo mi viene naturale la prima reazione.
Poi vengono i rapporti con gli amici, quelli veri, quelli sinceri e le semplici conoscenze. Difficile da posizionarli. Sono una via di mezzo con tutto e tutti. Chi è un fratello, chi una persona cara con la quale magari mantieni un rapporto più distaccato ma c'è rispetto o affetto, chi invece sono io stesso a tenere nell'ambito delle conoscenze, perchè "dai nemici mi guardo io, ma dagli amici mi guardi Dio". E a seconda del grado di rapporto con gli amici discuti, ti ci appicci e confronti. Se serve ti ci confidi e sanno/possono/vogliono darti una spalla, un braccio o una mano a seconda delle necessità.
In ambito familiare e in quello degli affetti invece è quasi scontato che tutto vada indubbiamente meglio. In ogni caso c'è il rispetto e se le cose non vanno si discute e si fa pace. Quindi, il contrasto è quasi un passaggio obbligato per confrontarsi, crescere e capirsi. Non tanto per definire chi comanda, ma semplicemente per chiarire come vanno le cose, come cambia il mondo. Cosa chiede il mondo da noi e come rapportarci con esso. Poi ognuno ha i suoi tempi di reazione. L'intelligenza umana sta in questo, nel saperne capire le tempistiche. E saperle rispettarle. A maggior ragione qusto tipo di rapporti viene tutto posizionato nella posizione di maggior prestigio dello scaffale mentale.
'Sto scaffale però rimane mezzo vuoto, che altro possiamo metterci dentro?
La mia fantasia, la mia capacità polimorfica di adattarmi e affrontare comunque ogni situazione. Andando un po' dove mi porta il cuore e magari ragionando soltanto dopo con la testa. Possiamo poggiarci anche il punto attraversato da infinite rette, magari nello stesso ripiano dove metto i due punti attraversati da una sola retta. Poi il ripiano con la spazialità, senza distanze e confini. E quello dell'istinto, magari che sovrastante ai ripiani dei rapporti interpersonali come a fargli da cappello.
In basso l'agenda con tutte le cose da fare e relativi materiali, i miei hobby e le mie passioni.
Di lato poggio sci e scarponi. Mi sa che la stagione invernale quest'anno è quasi finita. E non è riuscita a darmi che ben poche emozioni, anzi, anche qualche paura.
Mi sa che devo trovare una nuova libreria. O dare un nuovo ordine a tutto. Se riesco a scrollarmi di dosso la stanchezza.
Stringo i denti, ma la lettera alla fine è stata riscritta ed è tornata nel cassetto in attesa di un suo utilizzo.
Devo solo decidere cosa fare prima, se finire di nuovo al Pronto Soccorso, o consegnarla accettando l'ennesima sconfitta e rinunciando a molte cose.
Ardua sentenza.
Ritiro fuori un po' di fondamenti di fisica... se mi ricordo bene le formule.
L'ho sempre detto che sono contorto mentalmente, ma nel caso specifico, voglio applicare su me stesso la formula Hook, analisi fisica della quale sto vivendo in questo momento probabilmente il culmine del momento torcente...
Post edit del 19 marzo: La formula può essere applicata sia nella globalità della propria vita, che utilizzata singolarmente per analizzare ogni singolo accadimento. Nel mio caso, preferisco la seconda soluzione, cioè il particolare periodo che sto attraversando. Non me la sento di metterla in relazione alla mia vita per intero.
Veniamo in dettaglio:
La deformazione che può subire un corpo, in questo caso astratto, ma pur sempre io, sottoposto a sforzo, ha un andamento come quello mostrato nel grafico.
Mi sento tanto come un tondino di acciaio in torsione.
Il grafico è lineare fino al punto 1, dove il corpo mantiene caratteristiche elastiche, si deforma sotto l’azione delle forze esterne, nel caso specifico situazioni o eventi che mi accadono attorno e mi coinvolgono, al cessare delle quali il corpo/me riprende la configurazione primitiva, ritornando quindi nella situazione di tranquillità e serenità. Sottoposto ad uno sforzo maggiore, nella curva compresa tra il punto 1 e il punto 2, detta di deformazione plastica, si arriva ad un livello che si può considerare un punto di non ritorno, in quanto, anche se viene eliminato lo sforzo applicato, quindi svaniscono le situazioni o gli eventi scatenanti, il corpo/me, non ritorna al proprio stato iniziale in quanto è intervenuta una forza superiore all'elasticità che va a mutare quindi anche il mio carattere e quelle che sono i miei rapporti interpersonali. Una mutazione generale, che è rappresentata dall'apatia e dalla stanchezza, somatizzazione del malumore e dei disagi. Applicando uno sforzo ancora maggiore, quindi venendo a coesistere tutta una serie di eventi che acutizzano stress e disagio, si arriva agevolmente al punto 3, il carico di rottura, subendo il quale il corpo/me, si rompe.
Va in frantumi tutto, ed eccomi che finisco nuovamente al Pronto Soccorso.
Sono sempre più convinto che a breve farò quello che da un po' mi frulla per la testolina. Devo solo decidere come e le tempistiche, ma rileggendo alcuni post scritti nei mesi scorsi, mi meraviglio io stesso della lucidità mentale e di analisi che ero capace di mettere in pratica.
Mi sono un po' troppo offuscato, forse a cercare il bandolo della matassa ho perso di vista la realtà che mi circonda.
Forse è tornata veramente l'ora di riavviare il cervello. Format c:\ e reinstalliamo tutto daccapo.
P.S. non pigliatemi per matto se ieri pensavo una cosa e oggi ne dico un'altra, ma è proprio vero che molte volte guardarsi dietro, il passato, fa veramente bene.
Il 16 marzo 1978, si apriva uno dei capitoli più bui della storia della nostra Repubblica, un capitolo che ancora oggi rimane senza una conclusione nonostante il drammatico epilogo della vicenda.
Alle 9,15 di 29 anni fa in un agguato terroristico delle Brigate Rosse in via Fani, veniva sequestrato il presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro e brutalmente assassinati gli uomini della sua scorta Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Raffaele Jozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi.
Iniziano quei 55 giorni più misteriosi dell’intera storia dell’Italia repubblicana. Ancora oggi, il caso Moro rappresenta un intricato tunnel di segreti e interrogativi, di domande senza risposta e di inconfessabili trame. Il giorno del rapimento lo statista DC si stava infatti recando in Parlamento per partecipare alla fiducia del nuovo governo Andreotti, un esecutivo di larghe intese costituito con l'appoggio e l'ingresso del PCI nella maggioranza programmatica e parlamentare, la concretizzazione di un lungo lavoro per realizzare quel "compromesso storico" promosso, caldeggiato e ampiamente favorito da Moro stesso.
Il gruppo armato s’impadronisce di Moro affermando di volerlo interrogare per processare tutta la Democrazia Cristiana e il sistema stesso dello Stato. Lancia un vero e proprio segnale di guerra, forse addirittura non rendendosi conto di aver gettato invece ulla scena politica nazionale una bomba ad alto potenziale.
Foto presa dalla rete
Per tutti 55 giorni in cui Moro sarà detenuto in un "carcere del popolo" i media e l'opinione pubblica italiana, europea e mondiale seguirono col fiato sospeso la vicenda, mentre il "processo del popolo" a cui verrà sottoposto lo statista aprirà invece una serie di enormi contraddizioni all'interno sia del suo stesso partito che dell’intera classe politica italiana. Per i brigatisti l'intera vicenda avrà un effetto distruttivo dal punto di vista della comunicazione e della "lotta" che intendevano promuovere, finendo col dimostrarsi con i loro documenti miopi e vetusti completamente avulsi dalla realtà storica del paese.
Ma la sorte di Aldo Moro, vivo o morto, interessava a molte, fin troppe persone. Si mobilitarono personaggi politici di ogni Paese, lo stesso Papa Paolo VI, interessi sul destino di Moro giunsero anche dalla Massoneria e dai Servizi Segreti. Si interessò addirittura Cosa Nostra: invano.
Con i vari ultimatum i Brigatisti volevano arrivare adottenere il riconoscimento politico del loro movimento e la liberazione dei brigatisti sotto processo a Torino. Partito Comunista e Democrazia Cristiana si coalizzarono duramente nel partito della "fermezza", rifiutando ogni compromesso, il PSI era invece per la trattativa.
I giorni passarono. Aldo Moro, con le sue lettere alla famiglia, ai suoi più cari amici personali e politici, persino al Papa, lanciava chiari segnali. Di quello che sarebbe stato dopo di lui, di quello che doveva essere fatto qualunque sia la sua sorte. Lettere piene di presagi e accuse, a volte anche molto dure, nei confronti di un panorama politico che lo sta abbandonando al suo destino con cinismo, un sistema che aveva paura tanto di un Moro vivo, quanto di un Moro morto.
Il 9 maggio, dopo 55 giorni di prigionia, Aldo Moro viene ucciso. E' nella memoria collettiva di tutti l'immagine del suo corpo esanime accasciato nel bagagliaio di una Renault 4 rossa posta emblematicamente a metà strada tra Piazza del Gesù e via delle Botteghe Oscure, tra la sede della DC e quella del PCI.
Foto presa dalla rete
Quel colpo di pistola guidato da chissà quale mano, che lo ha privato agli affetti dei suoi più cari, riecheggia ancora oggi nelle coscenze di chi all'epoca poteva e non voleva, voleva ma non poteva.
Ai funerali, celebrati da Papa Paolo VI furono presenti schierati tutti i partiti ma non la famiglia, in polemica con "la fermezza" di aver escluso degli spiragli per trattare la vita del loro congiunto.
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