16mar
Il 16 marzo 1978, si apriva uno dei capitoli più bui della storia della nostra Repubblica, un capitolo che ancora oggi rimane senza una conclusione nonostante il drammatico epilogo della vicenda.
Alle 9,15 di 29 anni fa in un agguato terroristico delle Brigate Rosse in via Fani, veniva sequestrato il presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro e brutalmente assassinati gli uomini della sua scorta Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Raffaele Jozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi.
Iniziano quei 55 giorni più misteriosi dell’intera storia dell’Italia repubblicana. Ancora oggi, il caso Moro rappresenta un intricato tunnel di segreti e interrogativi, di domande senza risposta e di inconfessabili trame. Il giorno del rapimento lo statista DC si stava infatti recando in Parlamento per partecipare alla fiducia del nuovo governo Andreotti, un esecutivo di larghe intese costituito con l'appoggio e l'ingresso del PCI nella maggioranza programmatica e parlamentare, la concretizzazione di un lungo lavoro per realizzare quel "compromesso storico" promosso, caldeggiato e ampiamente favorito da Moro stesso.
Il gruppo armato s’impadronisce di Moro affermando di volerlo interrogare per processare tutta la Democrazia Cristiana e il sistema stesso dello Stato. Lancia un vero e proprio segnale di guerra, forse addirittura non rendendosi conto di aver gettato invece ulla scena politica nazionale una bomba ad alto potenziale.
Foto presa dalla rete
Per tutti 55 giorni in cui Moro sarà detenuto in un "carcere del popolo" i media e l'opinione pubblica italiana, europea e mondiale seguirono col fiato sospeso la vicenda, mentre il "processo del popolo" a cui verrà sottoposto lo statista aprirà invece una serie di enormi contraddizioni all'interno sia del suo stesso partito che dell’intera classe politica italiana. Per i brigatisti l'intera vicenda avrà un effetto distruttivo dal punto di vista della comunicazione e della "lotta" che intendevano promuovere, finendo col dimostrarsi con i loro documenti miopi e vetusti completamente avulsi dalla realtà storica del paese.
Ma la sorte di Aldo Moro, vivo o morto, interessava a molte, fin troppe persone. Si mobilitarono personaggi politici di ogni Paese, lo stesso Papa Paolo VI, interessi sul destino di Moro giunsero anche dalla Massoneria e dai Servizi Segreti. Si interessò addirittura Cosa Nostra: invano.
Con i vari ultimatum i Brigatisti volevano arrivare adottenere il riconoscimento politico del loro movimento e la liberazione dei brigatisti sotto processo a Torino. Partito Comunista e Democrazia Cristiana si coalizzarono duramente nel partito della "fermezza", rifiutando ogni compromesso, il PSI era invece per la trattativa.
I giorni passarono. Aldo Moro, con le sue lettere alla famiglia, ai suoi più cari amici personali e politici, persino al Papa, lanciava chiari segnali. Di quello che sarebbe stato dopo di lui, di quello che doveva essere fatto qualunque sia la sua sorte. Lettere piene di presagi e accuse, a volte anche molto dure, nei confronti di un panorama politico che lo sta abbandonando al suo destino con cinismo, un sistema che aveva paura tanto di un Moro vivo, quanto di un Moro morto.
Il 9 maggio, dopo 55 giorni di prigionia, Aldo Moro viene ucciso. E' nella memoria collettiva di tutti l'immagine del suo corpo esanime accasciato nel bagagliaio di una Renault 4 rossa posta emblematicamente a metà strada tra Piazza del Gesù e via delle Botteghe Oscure, tra la sede della DC e quella del PCI.
Foto presa dalla rete
Quel colpo di pistola guidato da chissà quale mano, che lo ha privato agli affetti dei suoi più cari, riecheggia ancora oggi nelle coscenze di chi all'epoca poteva e non voleva, voleva ma non poteva.
Ai funerali, celebrati da Papa Paolo VI furono presenti schierati tutti i partiti ma non la famiglia, in polemica con "la fermezza" di aver escluso degli spiragli per trattare la vita del loro congiunto.
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