23mag
Il 23 maggio di quattordici anni fa era un sabato. Un caldo sabato di maggio nella grande isola ricca di colori, profumi e sensazioni che la contraddistinguono e che puoi conoscere soltanto se ci vivi e se la conosci.
Era un sabato normale, almeno semprava esserlo. Diventò un giorno di riscossa, importante e da ricordare, non per chi voleva compiere una propria vendetta e un atto di forza verso lo Stato, ma per i milioni di siciliani stanchi di dover convivere con un male, un tumore maligno che affliggeva da secoli la loro isola.
Falcone e Borsellino
Foto presa dalla rete
Alle ore 17.59, all'altezza dello svincolo di Capaci lungo l'autostrada Palermo-Trapani, la mafia, in un estremo tentativo di sopravvivenza, fece esplodere 5 quintali di tritolo. Una strage infame, per colpire il simbolo più importante di quella lotta tra mafia e stato. Giovanni Falcone.
Un boato enorme, come un vulcano che scarica la sua rabbia, che per trenta interminabili secondi oscurò il cielo rosso di una sera d'estate, scaraventando in aria le automobili e fagocitando in un'enorme voragine quanto rimaneva dell'autostrada e di chi stava passando. L'esplosione investì direttamente la Croma marrone della scorta con a bordo gli agenti scelti Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Di Cillo. I resti della vetturà verranno ritrovati a circa 600 metri dall'esplosione. La Croma bianca con a bordo Falcone e la moglie Francesca Morvillo, moriranno dopo poche ore in ospedale, rimase seriamente danneggiata e a bordo si salverà solamente l'autista Giuseppe Costanza che sedeva sui sedili posteriori. La terza vettura della scorta è ridotta un ammasso di ferri vecchi, ma dentro i tre agenti sono vivi, feriti ma vivi. Il bollettino di guerra non si ferma qui, nella loro bieca vendetta i boss non si preoccupano della possibilità di coinvolgere innocenti. Rimangono ferite altre venti persone che transitavano in quel momento fra lo svincolo di Capaci e Isola delle Femmine.
E' il primo attentato di una stagione di fuoco messa in atto da una piovra impazzita che voleva provare a tutti i costi a tenere saldo il controllo del potere politico ed economico dell'isola. Dopo Capaci, l'aggressione allo stato proseguì con gli attentati di via d'Amelio a Palermo dove morirono il giudice Borsellino e 5 agenti della scorta e le bombe di Roma, Firenze e Milano. Un colpo di coda da parte di un controstato oramai morente, con azioni violente volte a terrorizzare e condizionare psicologicamente la gente e costringerla ad accettare uno status quo di connivenza e violenze.
L'effetto ottenuto fu completamente il contrario.
Il segnale più forte venne proprio dalla gente, in particolar modo dal caldo cuore dei giovani siciliani. Nacque un nuovo movimento, una forma di rinascita siciliana, di valori liberi contro ogni forma di violenza e di mafia ispirati dalle parole e dal martirio di Falcone e Borselino. Una rivoluzione silenziosa che ha cambiato il volto della sicilia anche attraverso l'impegno e il martirio di don Puglisi e la reazione dei suoi giovani in un quartiere difficile di Palermo come Brancaccio. Una ribellione al sistema mafioso, un voler crescere, per tornare a vivere e riconquistare quelle libertà che i tentacoli di Cosa Nostra gli negavano. Abbiamo ancora negli occhi le immagini del funerale e le forti parole di condanna del cardinale Pappalardo, le lagrime della moglie dell'agente Schifani, la gente, il popolo siciliano che per la prima volta si schierava contro chi per anni l'aveva tenuto sotto il giogo dell'omertà, della connivenza e della violenza.
Falcone scrisse in un libro poco prima di morire "Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande". I siciliani adesso sanno di non essere più soli.
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