Avrete capito quale sia la mia indicazione di voto per il prossimo Referendum Costituzionale del 25 e 26 giugno.
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Un voto a difesa della nostra giovane carta costituzionale, che con i suoi 60 anni, si dimostra ancora snella e democratica, a dispetto di chi, stravolgendola, cerca di riportarla indietro di almeno 80 anni.
Quindi voterò NO, per fermare questa riforma nefasta, perchè è necessario lavorare per aggiornare e non demolire la nostra Carta Costituzionale tornando a ragionare concretamente su un progetto reale e a largo respiro per la ripresa del "vero" sogno italiano.
Ma entriamo nel dettaglio dei perchè secondo me la riforma non va approvata.
La riforma tratta con l'improprio nome di "devolution" il rapporto tra regioni e stato, cercando di proporre una pseudo forma federale che in realtà è unicamente una regionalizzazione dei poteri fiscali e dei servizi primari. Ma la riforma in questo modo ferisce l'unità nazionale attribuendo alle singole regioni la competenza esclusiva in materie che riguardano i livelli essenziali dei cittadini soprattutto nei diritti alla salute ed all'istruzione. E' chiaro che una soluzione di tale genere a lungo, ma anche a breve termine porterebbe un depotenziamento soprattutto delle regioni finanziariamente più deboli o svantaggiate, ponendo davanti a se degli scenari di disparita e disequilibrio tra gli stessi cittadini. In più bisogna tener conto dei pesanti effetti di differenziazione che deriveranno dall'attribuzione esclusiva delle competenze regionali nelle altre materie non espressamente riservate alla legislazione dello Stato quali agricoltura, industria e turismo, nelle quali potrebbe diventare impossibile la determinazione di principi generali unitari e di qualunque politica nazionale, con il rischio di andare ad annullare ogni iniziativa di rilancio e promozione locale.
Vogliamo poi parlare della riforma istituzionale vera e propria? Un tentativo goffo quasi a voler legittimare attraverso la carta costituzionale e successivamente il voto popolare, una forma di autoritarismo che ricorda tanto venti anni in camicia nera.
L'unica differenza sta probabilmente nel fatto che qua si chiama premierato.
La riforma prevede la concentrazione di poteri nelle mani del Primo ministro. Si intende attuare una fortissima blindatura del governo, delegando ogni decisione unicamente all'interno della stessa maggioranza, ponendo come unica alternativa lo scioglimento della Camera, a discrezione dello stesso Premier, che acquisisce così nelle sue mani potere decisionale sulle sorti del Parlamento.
Il Presidente della Repubblica, attualmente figura di garanzia, che nell'ambito dei poteri che gli conferisce la Costituzione, controlla e tutela i rapporti tra le istituzioni, con la riforma proposta diventerebbe unicamente una carica di rappresentanza, perdendo ogni potere attuale quale la nomina del primo ministo e il potere di scioglimento della Camera, potere che passerebbe, come affermato prima, integralmente al Premier.
La Camera dei Deputati è degradata ad una condizione di inferiorità. Perde ogni potere decisionale, legiferativo e di controllo sull'operato del governo, divenendo uno strumento nelle mani delle decisioni del Premier. Se l'aula dissente sulla richiesta di approvazione di un testo legislativo su cui il Premier ha posto la questione di fiducia, lo stesso ha il potere di ignorare la decisione parlamentare spostando le competenze presso il Senato, oppure decretare lo scioglimento della sola Assemblea e il ritorno di fronte agli elettori. La finalità "antiribaltone" non giustifica queste scelte estreme, perché la stabilità del governo risulta realizzabile anche attraverso una soglia poporzionale con l'attribuzione di un premio di maggioranza, lasciando agli elettori un potere decisionale sulle maggioranze di governo.
Il Senato, che diverrebbe senato "federale", avrebbe unicamente competenza sulle materie delle regioni, degli enti e delle comunità territoriali. Un controsenso rispetto alla riforma, in quanto il senato federale potrebbe intervenire sulle questioni locali annullando in teoria ogni forma di federalismo o non garantendo nessuna forma di neutralità, anzi, creando un'ulteriore conflitto di competenze tra i vari organi dello Stato.
Verrebbe inoltre a decadere l'attuale forma di bicameralismo legiferativo paritario. La distribuzione delle attribuzioni legislative tra Camera e Senato in base alle diversità delle materie rende del tutto incerto l'esercizio del potere di legiferare, anche perché il Primo ministro può spostare dal Senato alla Camera e viceversa la deliberazione in via definitiva sui testi ritenuti fondamentali per l'attuazione del programma di governo, mentre la riduzione del numero dei parlamentari (attraverso non si sa quale arzigogolato calcolo aritmetico ed operativa solo dal 2016), comporterebbe probabilmente si meno spese allo stato, ma rappresenta una manovra creata unicamente per una maggiore pressione politica e di controllo della maggioranza, diminuendo e quasi annullando la voce dell'opposizione.
Il Csm passerebbe da organo indipendente di autogoverno della magistratura, a organo politico della maggioranza per il controllo del potere giudiziario. In breve, maggioranza e premier avranno il potere di interferire e condizionare indagini, processi e giudizi intervenendo sull'autonomia della magistratura stessa.
Roma, con la riforma, rimarrebbe capitale d'Italia solo dal punto di vista nominale. Dal punto di vista legislativo e pratico sarebbe equiparata ad un semplice capoluogo di regione. Parlando di federalismo, la nazione viene a perdere una capitale ed in essa parte del fondamento dell'unitarietà dello stato. (Ci mancava solo che decidessero che ogni regione ha la sua bandiera ed inno, e avevamo fatto bingo...)
Ma la parte più esaltata della riforma va a cozzare con l'attuale art. 138 della Costituzione, che non prefigura "riforme totali" della Carta, e viola i diritti degli elettori, radicati negli articoli 1 e 48 della Carta Costituzionale.
Gli elettori il prossimo 25 e 26 giugno con un solo "si" o "no" vengono costretti a prendere contemporaneamente posizione sulle modifiche delle funzioni del Presidente del Consiglio, delle funzioni del Presidente della Repubblica, del procedimento legislativo, della composizione e delle funzioni di Camera e Senato, delle competenze legislative regionali, della composizione della Corte costituzionale, del giudizio di legittimità costituzionale in via diretta e del procedimento di revisione costituzionale. Se vincesse il sì diventerebbe impossibile per molto tempo cambiare un testo approvato dal popolo, mentre se vince il no, c'è solo il rifiuto di una riforma votata nella passata legislatura ed imposta a colpi di maggioranza, lasciando aperta la strada per emendamenti coerenti con i principi ed equilibri fondamentali dell'impianto costituzionale, da approvare a maggioranza qualificata, in forza dell'art. 138 della Costituzione.